Miti e Leggende

Stretto di Gibilterra (Colonne d’Ercole)

Lo stretto di Gibilterra, nella letteratura occidentale e in primis nel mito greco, era un tempo chiamato col nome di Colonne d’Ercole. Con questo nome si intendeva riferirsi a quello che era creduto essere il limite invalicabile del mondo conosciuto, e dal punto di vista metaforico, il limite della possibilità di conoscenza umana (il non plus ultra).

Gli storici ed i mitografi hanno identificato questo punto come la Rocca di Gibilterra, mentre altri mitografi (in minoranza) credono che questo luogo corrisponda all’odierno Stretto di Messina. Le Colonne corrisponderebbero ai due promontori di roccia che si trovano a fianco dello stretto di Gibilterra. Nel mito, le Colonne d’Ercole rappresentavano la frontiera del mondo civilizzato. Nessuna nave si azzardava ad andare oltre: si riteneva che lì, infatti, il mondo terminasse.

Il mito ricollega la leggenda a quella di Ercole. Ercole, infatti, avrebbe dovuto rubare il bestiame di Gerione, che viveva proprio agli estremi confini del mondo occidentale. Egli non avrebbe mai varcato il limite delle colonne, sarebbe arrivato fino alle pendici dei due monti, Abila e Calpe, e decise di dividere in due il monte creando così due colonne. Sulle colonne, secondo la leggenda, venne incisa la scritta ‘non plus ultra’, ‘non più oltre’. Oltre le colonne c’era l’ignoto, lo spaventoso, la fine del mondo.

Ovviamente il mistero di cosa si trovasse oltre le Colonne d’Ercole attizzò la fantasia di moltissimi scrittori. Secondo Platone oltre le colonne si trovava la mitica e ricca Atlantide. Secondo Dante, invece, Ulisse riuscì ad intravedere il monte del Purgatorio oltre le colonne, prima di essere colpito dalla vedetta divina che fece sprofondare la nave. Celebre lo splendido XXVI Canto dell’Inferno di Dante, dove il poeta colloca Ulisse che gli racconta come la stessa di conoscenza lo abbia spinto ad andare oltre le colonne con il suo equipaggio. “Io e’ compagni eravam vecchi e tardi / quando venimmo a quella foce stretta / dov’Ercule segnò li suoi riguardi, / acciò che l’uom più oltre non si metta: / dalla man destra mi lasciai Sibilia, / dall’altra già m’avea lasciata Setta.”.

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